Formula: 11 turni + finali
Tratto da FForum n.10 (rivista francese dedicata all'Othello)
Senza dubbio devi essere completamente incosciente o perfettamente megalomane per giocare il tuo primo torneo (o quasi) in un open internazionale che sembra un campionato europeo! Mi butto lo stesso: parliamo dell'Internazionale di Parigi, a inizio settembre, il primo torneo della stagione... e così ho deciso coraggiosamente di iscrivermi. In fondo, perso per perso, è sempre meglio anche essere massacrato dai più forti, no? Non avevo illusioni tranne una: questa paura da palcoscenico incontrollabile che non mi aspettavo. Ma è stata una grande esperienza, una scoperta della competizione dove, principiante o meno, tutto finisce per riassumersi in tre parole: gioca per vincere. Bernard Daunas mi ha suggerito di riportare le mie impressioni per FFORUM: potrebbe essere divertente, o forse interessante. Per una volta invece che raccontare le sensazioni di un campione, mostrare le tribolazioni di un novizio. Ma attenzione, anime sensibili, questo è anche il momento preciso in cui questa vittima innocente contrarrà un terribile virus: quello dell'Othello...
L'avevo già sperimentato una volta, un giorno alla radio: mi ero ritrovato all'improvviso con la testa vuota, la memoria inerte, incapace di capire una parola delle domande che mi venivano poste, in preda al panico per il buco che mi ha restituito l'eco della mia follia... questa volta nessuno mi stava intervistando, ma l'arrivo nella sala del torneo, al Novotel di Bagnolet, mi fa precipitare improvvisamente nella stessa vertigine: terribile impressione di dover giocare un ruolo in prima linea in cui non mi è stato insegnato come fare. C'è una buona concentrazione di grandi calibri europei, tanti campioni internazionali o vice campioni, così come è vero altri giocatori a un livello più accessibile, ma questo difficilmente mi rassicura: che mi ha detto la testa? In pochi mesi di gioco alle mie spalle di volermi confrontare con i ""migliori giocatori europei", come dicevano gli organizzatori di questo torneo? E ora il destino stesso è coinvolto ironicamente: il sorteggio del primo turno è subito letale, e mi designa come mio avversario Imre Leader (probabilmente il miglior giocatore inglese, o forse il miglior giocatore europeo visto che di fatto vincerà il torneo). Una doccia ghiacciata scorre lungo la schiena. Non riesco più a vedere niente. Con un grande sorriso, Imre mi tende la mano sopra l'Othelliera. "Pronto?" mi chiede con tono caldo. Pronto a uccidere, sì. Ho il nero, la mia mano trema e giro goffamente le prime pedine, aumentando la mia confusione. Tutta la stanza è silenziosa, si sente solo il ticchettio leggero degli orologi e lo sfarfallio delle pedine che si ribaltano. Immobile, paralizzato, fisso il gioco senza vederlo, sogno, ho gli incubi, dimentico tutto all'improvviso (ma che ci faccio in questo casino?). Apertura, hai detto apertura? Imre gioca una classica perpedicolare e prosegue senza il minimo errore. Ma tutto è sfocato e non so più dove posizionare le mie pedine nere. Imre osserva attentamente la partita, come se gli ponessi un grosso problema. Mi sorride di tanto in tanto con cordialità e mormora dolcemente "scusa" ogni volta che mi colpisce un colpo micidiale, mentre io nuoto in piena nebbia... Osservo con un occhio il mio orologio che avanza durante il mio turno e che sembra correre molto più velocemente del suo... Lui di contro, gioca con calma, annota attentamente ogni mossa (cosa che non sono in grado di fare!). Io invece vado sempre di fretta, accumulo errori e, in una fitta nebbia prevedo con totale impotenza che ben presto sarò sconfitto. Cosa fare? Gioco le ultime mosse con l'energia della disperazione: salverò 11 pedine, chiedendomi se questo cortese inglese non le abbia semplicemente lasciate per la bellezza del gesto...
Prima pausa, primi scambi. La metà dei giocatori, ovviamente, ha perso. Piano piano comincio a scendere con i piedi per terra. I rari fumatori - tra cui ci sono io - si accendono una sigaretta, accuratamente lontani dagli altri, la maggioranza che non fuma mai e rivendica con orgoglio questa "qualità". Così ad ogni pausa tra i turni, mentre si inseriscono i risultati al computer e si realizzano i nuovi abbinamenti, si formano piccoli gruppi, in un'atmosfera che ricorda la fine di un esame, quando i primi ad aver restituito la propria copia raccontano con entusiasmo la propria successi o le loro battute d'arresto. "Allora, hai vinto?": la risposta è nota prima delle parole, dall'espressione di un viso raggiante o di un broncio triste. "Stavo per vincere, sì, questo è certo... e poi, non ho visto quella mossa, mi è sfuggita una pedina..." rimproverano i perdenti. La cosa peggiore è accorgerti dei tuoi errori solo dopo averli commessi; troppo tardi per evitare il colpo fatale e quella sensazione di venir ucciso. Nell'altro campo, quello dei vincitori, c'è aria ha un modesto trionfo, soprattutto all'inizio: conosciamo fin troppo bene la fragilità di un punteggio. E così alcuni rigiocano subito la loro partita, cercando un errore, studiando una strategia. E aspettano i prossimi turni con forse un po' più di ansia, perché il confronto inevitabilmente si inasprirà: i vincitori giocheranno con i vincitori, i più forti finiranno con i più forti. Non ci sono going, tipo quelli che richiamano i pugili sul ring, ma ogni volta che inizia una nuova partita, ho l'impressione che mi attenda un nuovo knock-out. Tuttavia con il passare del tempo vedo un po' meglio la partita, quel tanto che basta per registrare con desolazione le inevitabili sconfitte. Non sono in grado di concentrarmi tanto da seguire particolari strategie. Tutti sembrano ben destreggiarsi tra le swindle, cessione degli angoli, sottili trappole... tranne me. Piove sul bagnato. Perdo e perdo ancora, costernato dalla mia nullità. Ma questa irresistibile discesa verso gli ultimi posti finisce per rilassarmi: Una volta giunto sul fondo della classifica non posso peggiorare e magari incontrerò qualcuno più debole - o semplicemente più disorientato. Se esistesse, ovviamente. E sì, c'è: "Benvenuto nel club!" verrà a dirmi, esilarante, una banda di quattro o cinque giocatori in fondo al gruppo: hanno perso anche loro tutti, zero punti, zero ovunque, e questo li fa ridere? Uno di loro sarà necessariamente il mio prossimo avversario. Coraggio! Infatti mi ritrovo con uno nella mia stessa condizione. È loquace, allegro, sembra divertirsi molto. Sicuramente perderò, mi diceva, e subito sento l'odore della trappola. Non perderò di nuovo, mi dicevo, ma faccio uno stupido errore che è consuetudine per me: attaccare un cinque senza lasciare lo spazio della "forchetta". Errore fatale? Per fortuna no. Il mio avversario, ancora esultante, non immagina - mi dirà poi - che io abbia commesso un errore così grossolano involontariamente. Crede gli stia ponendo una trappola e decide di giocare altrove. Colpo di fortuna: posso conquistare un angolo e risollevare le sorti della partita. Sarà la mia prima vittoria. Sicuramente senza lustro ma questi due punti mi scaldano il cuore. Il mio morale sale di un livello, insieme alla mia classifica. dopo vincerò ancora una volta, su un inglese molto giovane che è ovviamente piuttosto debole. Non sono solo al mondo: anche in un torneo internazionale di alto livello ci sono avversari a portata di mano e questa idea completa le mie rassicurazioni. Quella sera, usciamo a cena tutti insieme, rafforzando i contatti. I giocatori di Othello sono decisamente comprensivi: campioni o meno, nessuna ombra di condiscendenza nei confronti dei piccoli giocatori, dei principianti. Scherziamo, ci divertiamo, a volte ci prendiamo in giro, ma niente a che vedere con le battute burrascose degli scacchisti, tante volte sprezzanti di chi non ha ancora assimilato le librerie. Othello è un gioco che unisce le persone e gli avversari sono spesso amici che si conoscono bene, anche oltre confine. Di lì a poco, tornerò a giocare in casa, più sereno, le partite del giorno, rivedendo errori impensabili, per credere che stavo giocando per perdere! Mi addormento facendomi la predica, con in testa ancora quelle pedine bianche e nere... Domenica mattina il cielo è grigio. Neanche un raggio di sole a colazione. Malaugurio? Curiosamente, ho la sensazione di una certa esperienza. Come se questo secondo giorno fosse un altro torneo. La sala giochi è già familiare. Anche l'atmosfera. "Non sono più un principiante". E poi ho quattro punti, che mi hanno fatto lasciare il fondo della classifica. Mi crescono le ali: e se vincessi ancora, anche solo una volta? "Devi solo fare quello che devi, non è scienza missilistica, comunque!" sussurra una voce perentoria dentro di me. Bene. Altri quattro round, ora DEVI vincere. Ottavo turno. Ancora un avversario inglese (non mi piace molto il loro gioco, che ha una stile che non conosco). Ma fin dalle prime mosse, sento che l'incontro è alla mia portata. Devo giocare bene, tutto qui. Ho recuperato a poco a poco i miei mezzi, con l'impressione, questa volta, di giocare alla mia altezza. Ma perché all'improvviso ho scelto una mossa molto mediocre quando ne avevo vista un'altra; molto meglio? questo modo di masochismo mi lascia senza parole. Tuttavia, sono riuscito a vincere di poco: 34-30. Sei punti, ho sei punti! E il destino mi favorirà ancora: vinco il turno successivo appena in tempo, dopo aver quasi perso il più sciocco del mondo: mi mancano cinque minuti quando il mio avversario in preda al panico gioca male i suoi ultimi secondi, invece di approfittarne, mi complico un po' la situazione e invece di riflettere, gioco di corsa, sospinto dalla sua fretta. La frenesia mi impedisce di essere lucido: mi mancano tre minuti ed ho perso sull'Othelliera, ma la bandiera dell'orologio del mio avversario cade prima che finisca di giocare l'ultima mossa e la partita è mia. Segno del destino. Poi gioco gli ultimi round pompato, teso, concentrato, come se fosse la mia vita. Un pareggio e vinco di nuovo. Vittoria brevissima è vero ma nessuna sconfitta in queste quattro partite. Sono esausto, ansante, un po' sorpreso, ma violentemente felice come una medaglia ai Giochi Olimpici! Ma comunque... di una cosa sono almeno sicuro: anche se non raggiungerò mai certi livelli, ora so di aver decisamente preso il virus. Questo torneo sarà stata un'esperienza straordinaria. L'occasione per incontrare ottimi giocatori, per prendere confidenza con il clima particolare dei grandi scontri: la tensione, il silenzio, gli orologi, il rigore delle regole, la diversità dei giochi e degli avversari. Perdere o vincere, quando si è appena agli inizi non conta molto: l'importante è mettersi in gioco, oggi mi sento un po' meno alle prime armi, con un po' l'impressione di essere di famiglia. Ma non commettere errori: la parte più difficile inizia ora. Perché dovrai imparare davvero a giocare.
Michele Lery
Per vedere la classifica finale del GPE 1988 clicca qui. Per la cronaca delle altre tappe: Milano, Italia (19 e 20 Dicembre 1987) Cambridge, Inghilterra (13 e 14 Febbraio 1988) Copenhagen, Danimarca (25 e 26 Giugno 1988)
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